Abuso del diritto: a rischio la holding che non distribuisce gli utili
Una persona fisica può detenere una o più partecipazioni societarie per il tramite di una società di capitali, anche unipersonale, la cui attività è costituita appunto dalla gestione di partecipazioni mobiliari.
Una tale società prende il nome di holding, e il suo utilizzo costituisce una legittima scelta da parte del contribuente.
Nel sistema fiscale italiano il percepimento di un dividendo diviene a tassazione piena nel momento in cui questo arriva nelle mani della persona fisica, che è soggetta a una imposta sostitutiva del 26%.
Diversamente i passaggi intermedi di dividendi, da una società di capitali a un’altra società di capitali, sono soggetti solo a una piccola imposta: il 24% di IRES sul 5% del dividendo percepito, che porta a una pressione fiscale sull’intero dividendo del solo 1,2%, in base alle previsioni dell’articolo 89 del TUIR.
La scelta operata dal legislatore ha come motivazione la necessità di non duplicare imposizione fiscale durante i passaggi intermedi, lasciando solo una piccola imposta come contropartita del fatto che le società di capitali percepenti i dividendi, a differenza delle persone fisiche, possono dedurre i costi collegati alle partecipazioni.
Inoltre il medesimo trattamento fiscale è previsto anche nel caso in cui una società di capitali ceda la partecipazione detenuta conseguendo una plusvalenza in regime di participation exemption, ex articolo 87 del TUIR.
Per queste ragioni detenere una partecipazione per il tramite di una holding può comportare un evidente vantaggio fiscale fintanto che i dividendi percepiti o le plusvalenze realizzate restino in capo alla società e non vengano distribuite ai soci.
Una tale situazione deve essere considerata legittima, perché è proprio il meccanismo fiscale sottostante che prevede la piena imposizione fiscale solo nel momento in cui dividendi e plusvalenze arrivano nelle mani della persona fisica, attraverso la distribuzione degli utili da parte della holding.
Tuttavia, in base al recente Atto di indirizzo MEF del 27 febbraio 2025 sull’abuso del diritto, sembra che tale legittimità possa presentare delle limitazioni.
Cosa prevede l’Atto di indirizzo MEF del 27 febbraio 2025 sull’abuso del diritto
Il documento emanato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze il 27 febbraio scorso precisa infatti che possono rientrare in una situazione di abuso del diritto “anche i differimenti di imposizione, cioè le situazioni nelle quali il contribuente consegue un vantaggio finanziario, purché si tratti di un rinvio della tassazione sine die o significativamente posticipato, dunque non meramente temporaneo”.
Sorvolando sull’opportunità (se vogliamo salvaguardare la certezza del diritto) di gravare una possibile contestazione di una scadenza temporale non chiaramente definita, applicando l’indirizzo del MEF al caso esaminato, si può concludere che può essere soggetta a una contestazione di abuso del diritto una holding che non distribuisce dividenti ai propri soci, differendo così “sine die” l’imposizione in capo alle persone fisiche di dividenti percepiti e plusvalenze realizzate.
Cosa comporta
Va precisato che un tale orientamento non va preso con eccessiva rigidità, in quando, come sempre accade in tema di abuso del diritto, se ci sono valide motivazioni extrafiscali per motivare un determinato comportamento, l’eventuale contestazione non è legittima.
Se, infatti, può essere considerato abusivo il comportamento della holding che percepisce dividendi o realizza plusvalenze e lascia in cassa ciò che ha realizzato o lo investe in strumenti finanziari facilmente liquidabili, come farebbe una persona fisica, diversamente una holding che reinveste ciò che ha realizzato, ad esempio in altre partecipazioni, non può subire una tale contestazione essendo quella l’attività tipica della società.
È parere di chi scrive (e come tale va considerato) che, con ogni probabilità, quanto previsto dall’Atto di indirizzo MEF del 27 febbraio 2025 abbia l’obiettivo di mettere sotto osservazione situazioni limite di utilizzo abusivo dello strumento della holding, come strumento, per la persona fisica, di rimandare all’infinito l’imposizione fiscale interponendo una società; situazione ben diversa da quella in cui una holding opera in una ottica di investimento o reinvestimento.
Va però sottolineato che a gravare sull’applicazione pratica dell’Atto di indirizzo del MEF ci sono delle difficoltà operative insite in una contestazione basata su questa ipotesi.
Infatti va ricordato che la distribuzione degli utili, da parte di una società, è una decisione che spetta all’assemblea, e quindi ai soci, e non alla società o ai suoi amministratori: per cui non dovrebbe essere possibile avanzare una contestazione di abuso del diritto alla società, dato che la decisione (e il vantaggio fiscale) è stata assunta dai soci.
Diversamente, poniamo il caso in cui la holding abbia più soci, e i soci di minoranza abbiano votato in assemblea per la distribuzione degli utili, a differenza del socio di maggioranza: in questo caso la contestazione dovrebbe riguardare solo chi ha negato la distribuzione degli utili o tutti i soci?
Inoltre non va trascurato un ulteriore problema: anche nel caso in cui una tale contestazione possa essere considerata legittima, quale dovrebbe essere la sanzione?
Logica vorrebbe l’applicazione dell’imposta sostitutiva del 26% sulle somme in cassa della holding ma non distribuite; ma se poi, in una fase successiva, la distribuzione avviene effettivamente, questa dovrebbe essere tassata nuovamente?
Così si andrebbe a tassare due volte lo stesso reddito, fatto contrario ai principi basilari del nostro ordinamento tributario.
Quindi, pur comprendendo l’intento di voler limitare eccessi di situazioni limite, le modalità dell’effettiva applicazione pratica della previsione dell’Atto di indirizzo MEF rappresentano nodi ancora tutti da sciogliere.
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