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Affitto di ramo d’azienda e ammortamenti: quando spettano al concedente per la Cassazione

La Cassazione con l’ordinanza n 19653/2025 si  è pronunciata in merito al trattamento fiscale, nell’ambito del reddito d’impresa, delle quote di ammortamento dei beni dell’azienda concessa in affitto.

In sintesi viene fornito un importante chiarimento per distinguere la casistica da quella delle spese di manutenzione, vediamo i dettagli del caso di specie e della pronuncia della suprema corte.

Ammortamento beni d’azienda concessi in affitto

Una società a responsabilità limitata svolge attività di acquisizione e messa a disposizione di beni immobili strumentali, in particolare centri commerciali e cinematografi, attraverso contratti di affitto di ramo d’azienda

Tali beni, dislocati in diverse Regioni italiane, vengono ceduti in gestione operativa agli affittuari, con clausole contrattuali specifiche.

L’Agenzia delle Entrate ha contestato la deduzione delle quote di ammortamento dei beni strumentali operata dalla società concedente, sostenendo che, in base all’art. 102, comma 8 del TUIR, il diritto spettasse agli affittuari. 

Secondo l’Amministrazione, i contratti prevedevano il riaccredito delle spese di manutenzione ordinaria agli affittuari, rendendoli di fatto responsabili della conservazione dell’efficienza del ramo d’azienda.

La norma fiscale in questione stabilisce che le quote di ammortamento dei beni compresi nell’azienda affittata sono deducibili da chi è tenuto a mantenerne l’efficienza

Tale obbligo ricade di consueto sull’affittuario, come previsto anche dall’art. 2561 del Codice civile, che attribuisce all’affittuario la gestione e la conservazione del compendio aziendale.

Nel caso analizzato, i contratti di affitto derogavano espressamente agli articoli del codice civile, stabilendo che fosse la società concedente a doversi occupare della conservazione dell’efficienza dell’organizzazione e degli impianti.

Tuttavia, altre clausole prevedevano il riaddebito agli affittuari di alcune spese di manutenzione ordinaria, generando incertezza sull’attribuzione del diritto alla deduzione.

La Commissione tributaria regionale ha confermato la decisione favorevole alla società, già espressa in primo grado, ritenendo che la deducibilità delle quote di ammortamento fosse legittimamente esercitata dal concedente. I giudici hanno riconosciuto la validità della deroga contrattuale all’art. 2561 c.c., attribuendo l’obbligo di conservazione al concedente.

La Corte di Cassazione ha ribadito che, in assenza dell’obbligo contrattuale di mantenimento in efficienza del compendio aziendale in capo all’affittuario, la deducibilità degli ammortamenti resta in capo al concedente

La decisione della CTR è stata ritenuta corretta anche nella distinzione tra spese di manutenzione ordinaria e spese per la conservazione dell’efficienza dell’intera organizzazione.

Il diritto alla deduzione delle quote di ammortamento si fonda sul rischio di deperimento economico del bene, che normalmente grava sull’affittuario. Tuttavia, nel caso in cui tale rischio sia contrattualmente attribuito al concedente, non si verifica la traslazione del diritto alla deduzione, che rimane in capo al soggetto che sopporta l’onere.

La Cassazione ha sottolineato che è necessario distinguere tra:

  • spese per il mantenimento dell’efficienza dell’organizzazione e degli impianti, poste a carico del concedente in virtù della deroga contrattuale;
  • spese di manutenzione ordinaria e servizi generali (pulizia, vigilanza, antincendio, gestione neve, ecc.), poste a carico degli affittuari, che non implicano trasferimento dell’obbligo di conservazione.

La presenza di clausole di riaddebito non è, di per sé, sufficiente per attribuire agli affittuari il diritto alla deduzione degli ammortamenti.

La Corte di Cassazione ha conseguentemente rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.

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